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Unità Pastorale di Botticino

La Visita Stampa E-mail
Scritto da Don Raffaele   

Nelle parole del Vescovo l’attesa della diocesi

La Chiesa bresciana si appresta ad accogliere Benedetto XVI. Toccherà al Vescovo presentare al successore di Pietro la realtà locale con le sue ricchezze, le sue povertà e le sue sofferenza. Una Chiesa, quella che mons. Monari illustrerà al Papa, che cerca, non senza difficoltà, dì annunciare il Vangelo in un contesto storico e sociale in continua trasformazione. Una Chiesa, quella bresciana, che può trovare la forza e il coraggio di affrontare alcune sfide della modernità nel grande patrimonio umano e spirituale lasciatele da Paolo VI, uno dei suoi figli più illustri, e nll'impegno e nella testimonianza di Sant'Arcangelo Tadini, sacerdote e parroco fedele, anche nella risposta a bisogni del suo tempo, al Vangelo. Questi i temi toccati dal vescovo Luciano Monari nell'intervista che apre queste pagine dedicate alla visita di Benedetto XVI del prossimo 8 novembre.
 Eccellenza, molto è stato detto sulla prossima vìsita del Papa. Cosa rappresenta per un Vescovo e la sua Chiesa l’arrivo di Benedetto XVI?
 Per rispondere a questa domanda voglio rifarmi a due testi del Nuovo Testamento che mi aiutano a capirla n primo è quello che racconta della visita che Pietro fa al centurione Cornelio e alla sua famiglia n centurione lo accoglie bene, invitandolo a riferire ciò che il Signore gli ha chiesto di dire loro. Io credo che questo sia il primo significato della visita. Quello che noi ci aspettiamo dal Papa è che compia anche a Brescia quella che e la sua missione, ossia l’annuncio del Vangelo. Certo, il fatto di sentire questo annuncio dalla voce di Pietro ha per noi una forza e un significato particolare. Ma continua ad essere il Vangelo la cosa più importante e il Papa viene a Brescia per servirlo. C’è, però, un secondo brano che mi consente di mettere a fuoco il senso della visita dell’8 novembre ed è quello contenuto nella lettera ai Galati nella parte in cui Paolo racconta della visita a Pietro a Gerusalemme “perché non succeda che io abbia predicato o continui a predicare invano”. Il confronto con Pietro è garanzia per Paolo che il suo annuncio del Vangelo corrisponde alla fede e alla missione di tutta la Chiesa. In questa prospettiva la visita del Papa a Brescia deve essere vista come una conferma che il cammino che la nostra Chiesa ha fatto e ancora sta facendo è corretto, vissuto in comunione, riconosciuto come autentico dal Vescovo di Roma.
 Che Chiesa è quella che si appresta a ricevere il Papa?
 La risposta a questa domanda è complicata, perché implica di parlare di noi stessi. Sono convinto che quella bresciana sia una Chiesa ricca sìa per il suo passato e per le ricchezze presenti. E’ una Chiesa ricca dal punto di vista umano, per la sua capacità creativa, la sua grande disponibililà al lavoro. Ma è ricca anche dal punto di vista cristiano per la presenza di santi, di istituzioni nate in ambito cristiano, per un impegno laicale diffuso dal punto di vista organizzativo e da quello culturale. Ma è una Chiesa che conosce anche la sofferenza, che ha vissuto e vive momenti di fatica e che ha davanti a sé la prospettiva di un futuro con problemi grandi, di importanti nodi da affrontare a partire da quello delle vocazioni e dell’inserimento del Vangelo dentro ad un modulo di vita divenuto per molti aspetti pagano. E’ una Chiesa, dunque, che ha davanti a sé sfide importanti.
 La prima tappa del Papa, dopo l’arrivo a Ghedi, sarà nella parrocchiale di Botticino Sera per onorare le spoglie mortali di Sant’Arcangelo Tadini, un sacerdote che, in tempi che per certi versi ricordano quelli attuali, molto fece per dare dignità al lavoro e ai lavoratori. Cosa può fare la Chiesa nella tutela del lavoro sempre più minacciato?
 Sono convinto che la cosa fondamentale che la Chiesa può fare (e che ha sempre cercato di fare) sia quella di custodire il senso vero del lavoro e, insieme a questo, di tutto quel complesso che rappresenta il sistema economico e sociale della nostra realtà. L’ economia e il lavoro sono strumenti inventati dall’uomo per rendere la sua vita e quella sociale più facile, più bella, più umana. Credo che la Chiesa debba ricordarsi di questi aspetti, aiutando gli uomini a viverli pienamente. Il rischio dell’ economia è che, avendo leggi proprie, faccia diventare assoluto il perseguimento del profitto a scapito della dignità dell’uomo. Non ha senso che pensiamo ad una economia efficace se poi questa arriva ad umiliare alcuni strati dell’umanità. L’ economia è stata pensata per l’uomo, non può essere scienza dotata di una vita autonoma. Credo che il richiamo costante ad un’ economia rispettosa della dignità umana, a reale servizio dell’uomo, sia quello che la Chiesa può e deve fare. Deve ricordare che il lavoro, frutto di una attività dell’uomo, deve aiutare questo a vivere meglio. Quando questo non avviene deve denunciare che è stata imboccata una strada sbagliata, che non ha senso.
 Quella di don Tadini, però, è anche la figura di un sacerdote, di un parroco. Cosa può insegnare ai nostri sacerdoti per di più nell’Anno sacerdotale fortemente voluto da Benedetto XVI?
 A me sembra che insegni ciò che i preti santi hanno sempre insegnato: quello sacerdotale è allo stesso tempo un ministero di fedeltà e di creatività. È ministero di fedeltà perché le motivazioni che ci spingono sono sempre l’amore che Dio ci ha donato e rivelato in Gesù Cristo. L’ obiettivo ultimo del nostro impegno deve essere sempre quello di portare l’uomo ad una conformità col mistero di Cristo. Questa dimensione si incarna, però, in situazioni storiche. Allora bisogna essere abbastanza creativi da sapere comprendere cosa sta chiedendo il Signore in determinati contesti storici e sociali. Da questo punto di vista Sant’Arcangelo Tadini è stato sorprendente. Uomo del tutto in armonia con la Chiesa dal punto di vista della fede, della disciplina, dell’obbedienza è stato capace di immaginare e di organizzare una cosa allora impensabile come una famiglia di religiose che andavano lavorare in fabbrica fianco a fianco con le operaie. Ha dimostrato una creatività sorprendente che nasceva, però, da una totale adesione a Gesù Cristo e alla Chiesa È questo ciò a cui ogni sacerdote deve tendere.  
 Benedetto XVI° arriva a Brescia nel ricordo di Paolo VI. C’è qualche aspetto che lega il ministero di questi due pontefici?
 Paolo VI° ha sempre cercato, negli anni del suo pontificato, la vicinanza di teologi che sapessero esprimere la realtà del Concilio e quindi l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo, un mondo culturalmente cambiato, indifferente alla Chiesa. Credo che con la nomina di Ratzinger ad arcivescovo di Monaco, Paolo VI volesse proprio perseguire questo obiettivo. Non tutti i punti di riferimento che pensava di avere individuato avevano fornito risposte soddisfacenti in merito alla custodia della piena fedeltà alla tradizione che Paolo VI° ha sempre cercato di vivere. Da questo punto di vista mons. Ratzinger rispondeva alle attese del Papa. L’elezione di Ratzinger al soglio pontificio porta in qualche modo a compimento il sogno di Paolo VI° di un annuncio del Vangelo ad una società in continua trasformazione, con la fedeltà alla tradizione, ma anche con la capacità di confrontarsi con i temi e le sfide culturali di oggi. È un atteggiamento che Ratzinger ha sempre avuto e che porta avanti ancora oggi come successore di Pietro.
 Quale rapporto intercorre oggi tra la Chiesa bresciana e Paolo VI?
 È un rapporto di fierezza. La Chiesa bresciana è fiera di poter vantare papa Montini fra i suoi figli. Ma è anche un rapporto che si alimenta della dimensione della fedeltà e che si esprime in una serie di istituzioni, dì attenzioni pensate per custodire la memoria di Paolo VI° e per fame conoscere i lineamenti. Un’opera meritoria perché, per quella che è la mia conoscenza, Paolo VI° è forse uno dei papi meno conosciuti, meno familiari per quel che riguarda il suo vissuto, i valori che hanno mosso le sue scelte. Quella bresciana è una Chiesa che cerca di custodire questa memoria e di divulgarla. Certo a volte è un impegno che costa un po’ di fatica perché quello dell’ attenzione a Paolo VI° non è un movimento popolare diffuso. È’ un movimento grande ma non ancora generale. Uno degli obiettivi che potremmo porci è proprio quello di fare in modo che questo movimento diventi popolare perché nella vita e nella spiritualità di Paolo VI° ci sono elementi straordinari che sono slimolanti per una crescita personale e comunitaria.
 La presenza di Benedetto XVI potrà essere di qualche beneficio alla causa di beatificazione di Paolo VI?
 Lo spero, non tanto per la beatificazione in quanto tale, ma perché sono convinto che ci sia un tesoro di spiritualità originale nella vita di Paolo VI° e che la diffusione di questo tesoro possa aiutare e arricchire la Chiesa di oggi. Spero fortemente che la presenza del Papa a Brescia possa aiutare anche questo cammino, senza dimenticare che Benedetto XVI° nutre una stima immensa nei confronti di papa Montini.
 Eccellenza, un’ultima domanda, lei era studente a Roma negli anni del pontificato di Paolo VI°. C’è un ricordo particolare e ancora sconosciuto ai bresciani che personalmente la lega a questa figura?
 Di Paolo VI° ho un ricordo che mi è particolarmente caro, il giorno prima dì entrare in Conclave l’ allora card. Montini venne in visita al Lombardo. In quei giorni anche noi giovani studenti eravamo presi dalle discussioni su chi potesse essere il successore di Giovanni XXIII°. Guardavamo con attenzione ai vari movimenti, alle strategie dei cardinali. Anche Montini, nel corso della sua visita, fece riferimento a queste discussioni in corso ricordandoci però che la scelta del Papa, al di là degli accordi tra cardinali, era sempre opera dello Spirito Santo. Nostro dovere, ci ricordò in quella circostanza, era quello di far crescere in noi la capacità di cogliere, al di là di ogni considerazione umana, l’ azione fondamentale del Signore. Sono convinto che quello che ci disse non furono parole di circostanza, ma che quell’ invito corrispondesse esattamente al suo vissuto. Quel che sorprendeva in Montini, infatti, era che, pur essendo un uomo di curia e come tale informato di tutti i movimenti ad essa connessi, riusciva sempre a custodire della Chiesa un’immagine di fede, non riducendola a semplice organizzazione umana.

 

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